Una raffigurazione del Miracolo Eucaristico di Offida nella Cattedrale di Crema

Dobbiamo alla gentilezza della Curia Diocesana di Crema, e di Don Giorgio Zucchelli ospite del nostro Santuario in occasione della Solenne Concelebrazione Eucaristica a chiusura del Meeting dei Giornalisti Cattolici svoltosi nello scorso mese di giugno, l’immagine e la breve notizia storico artistica su questa importante testimonianza del Culto del Miracolo Eucaristico che conserviamo in S. Agostino nella “Croce Santa”.

Caratteristica la variante della storia del nostro miracolo dove compare la versione (non contemplata nel racconto ufficiale) secondo la quale ad ispirare l’atto sacrilego fu una donna ebrea.

Questo particolare riscontrato anche in una settecentesca versione in rima attribuibile ad un poeta locale legato all’accademia dell’Arcadia, prima di liquidarlo come una discutibile forma di antisemitismo, a mio parere andrebbe interpretato sotto l’aspetto di un simbolico dialogo tra antico e nuovo testamento e meriterebbe in questo senso un mirato approfondimento.

Alla descrizione del ciclo pittorico segue una breve notizia storico biografica sull’autore Giovanni Battista Lucini.

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Nel duomo di Crema troviamo quattro tele devozionali che esaltano la grandezza dell’Eucarestia. Raffigurano i Miracoli eucaristici e sono collocate sulle pareti delle navate laterali all’altezza del presbiterio, sopra i confessionali. Sono opera del cremasco Giovanni Battista Lucini (1639-1686), anticipatore dei moduli tiepoleschi, con mirabili giochi di luci e di ombre.

Le quattro tele sono parte di una serie di quadroni eucaristici (i due più grandi, Miracolo di Torino e Miracolo di Valenza, sono conservati nella chiesa cittadina di San Bernardino) che venivano esposti tra le arcate della navata centrale della cattedrale durante l’ottava del Corpus Domini. Solo dal 1988 sono collocate nel sito attuale.

Vennero commissionate, il 29 dicembre 1684, dal Consorzio del SS. Sacramento di cui era presidente il nobile Ettore Vimercati, grazie al lascito della contessa Ortensia Martinengo (dei due casati troviamo gli stemmi negli angoli alti delle tele) e sono l’ultima opera dell’artista cremasco, morto prematuramente. L’esecuzione va posta tra il 1685-86.

In tre dei quattro teloni troviamo il diagramma BL (la firma dell’artista) su un cartiglio in basso a destra o sulla predella dell’altare (manca nella tela della Cadamosto).

Nella  navata nord (sinistra) troviamo:

Il Miracolo di Pozen (Polonia):

raffigura un episodio avvenuto, secondo la tradizione, nel XV secolo nella città polacca. La scena presenta cinque uomini ebrei, raccolti attorno a un tavolo di una bisca, uno di loro ha trafitto con un pugnale (ora posato sulla tavola) un’ostia consacrata avuta da una donna cristiana. L’ostia, sottoposta a profanazione, si innalza luminosa e trasuda sangue. La scena, di derivazione caravaggesca, ha i caratteri della drammaticità, sia per l’ambiente buio nel quale avviene il sacrilegio, sia per l’espressione caricata dei cinque personaggi in abiti popolari che emergono quasi a stento dall’ombra, sia per i colori bruni e rosso cupi degli abiti. Luminosa invece l’ostia che si alza raggiante e sanguinante, nonché la bianca tovaglia che resta macchiata di sangue divino. Evidente è il contrasto tra luci ed ombre, tra bene e male, tra il peccato e la salvezza portata dal Sacramento che rende presente il Cristo morto e risorto nella sua Chiesa.

Il Miracolo di Bolsena:

ritrae il celeberrimo episodio del sacerdote boemo Pietro da Praga che, in pellegrinaggio a Roma nel 1263, celebrando nella chiesa di Bolsena e dubitando della presenza di Cristo nell’Eucarestia, l’ostia che aveva nelle mani stillò sangue sul corporale, ancora oggi conservato nella cattedrale di Orvieto. Per celebrare il miracolo di Bolsena, papa Urbano IV istituì la festa del Corpus Domini.

La scena rappresenta il sacerdote boemo, il chierichetto ed alcuni personaggi che osservano attoniti (il prete alza il braccio destro) l’ostia insanguinata caduta sulla predella dell’altare della chiesa di Bolsena, disegnato prospetticamente in modo perfetto. Da notare il realismo della scena e di alcuni particolari come le carte gloria di cui si legge persino il testo. Sorprendente l’uso del colore negli abiti dei personaggi (ad eccellere sempre il bianco), anche se il tutto ha un sapore un po’ teatrale.

Nella navata sud (destra) troviamo:

Il Miracolo dell’Ostia trafugata: (Offida)

due donne ebree restano sbalordite (una in posizione orante quasi di conversione?) davanti all’ostia consacrata che si alza luminosa sopra il braciere nel quale volevano bruciarla. La scena è quasi teatrale, ma comunque è forte il pathos delle due figure femminili (soprattutto della vecchia di profilo), bellissimo l’abito della giovane, dalle grandi maniche rigate, e  poetico il bambino che osserva il braciere con la sua tunichetta bianca.

L’episodio si riferisce al Miracolo Eucaristico di Offida, secondo il quale una donna di nome Ricciarella, accostandosi alla Comunione, rubò l’ostia consacrata, su consiglio di una maga, per poi bruciarla su un coppo. In quel momento l’ostia si trasformò in carne sanguinante.  Il dipinto cremasco ha corrispondenze in un affresco conservato nel santuario eucaristico di Sant’Agostino in Offida; in entrambe le rappresentazioni troviamo due donne con al centro della scena un coppo sul quale viene posta l’ostia.

Foto Lucini Offida

Il Miracolo dell’Ostia trafugata (Offida) – Giovan Battista Lucini 1685

La Comunione della beata Cadamosto:

ritenuta la migliore delle quattro tele, narra il miracolo di cui fu protagonista la beata monaca Maddalena Cadamosto, terziaria domenicana, morta a Lodi nel 1545. Durante la celebrazione eucaristica, al momento della comunione, l’ostia consacrata sfuggì dalle mani del sacerdote per saltare direttamente in bocca alla santa. La scena, molto intima e raccolta, in una clima di soffusa penombra, tagliata da una luce che viene da sinistra ed esalta il bianco delle vesti, rappresenta solo tre personaggi: il sacerdote attonito di fronte all’evento, affiancato da un chierichetto e la santa inginocchiata e protesa all’Eucarestia. Notevole il realismo anche dei volti, il taglio prospettico dell’altare, la resa delle vesti dei personaggi con forti contrasti di colore.

Il giudizio del critico Cesare Alpini è molto lusinghiero su queste opere del Lucini: “Il punto d’arrivo del suo percorso pittorico ci è testimoniato dai quattro quadroni eucaristici mezzani, ultima opera realizzata; non si tratta però di un testamento artistico, di una soluzione definitiva da consegnare ai posteri. I quadroni eucaristici sono un’ennesima sperimentazione da cui passare a nuove problematiche. Ciò è testimoniato dalle diverse componenti presenti nei quattro quadri, dall’andare in direzioni diverse, tutte possibili, tutte da verificare. La sua attività è sempre stata un’intensa ricerca coronata talvolta da precoci intuizioni e soluzioni che, superate le basi secentesche, approdavano al nuovo secolo. (…) In nessuna parte d’Italia si era ancora arrivati alla soluzione finale e ad una visione cosciente della nuova concezione artistica.”

I quattro magnifici quadri invitano il credente alla fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucarestia che si manifesta gloriosamente nei confronti dei non credenti, dei sacrileghi e dei dubbiosi. Hanno quindi un carattere didascalico-edificante, ma costituiscono soprattutto una forte dichiarazione di fede nel mistero centrale del Cristianesimo.

NOTE BIOGRAFICHE DEL PITTORE

Giovan Battista Lucini (1639-1686)

Giovan Battista Lucini nacque a Crema il 9 luglio 1639 e vi morì prematuramente il 14 o il 15 ottobre 1686. Fu probabilmente allievo del Botticchio e lavorò quasi esclusivamente nella sua città. Fino a pochi decenni fa si riteneva fosse vissuto nel Settecento e quindi la sua opera, paragonata ai grandi innovatori di quel secolo, sembrava superata.

Appurato che invece è vissuto nel Seicento, la sua arte assume un rilievo assolutamente nuovo. Lo possiamo addirittura considerare un precursore dei nuovi gusti che superavano il manierismo lombardo. Caratteristico il suo uso della luce e delle ombre che proveniente dalla lezione caravaggesca e rivela contatti del Lucini con la corrente dei “tenebrosi” attivi a Venezia negli anni Settanta del Seicento.

Non manca in lui l’influsso dell’Accademia milanese guidata da Antonio Busca, soprattutto nel marcato plasticismo delle forme, bloccate dalla luce. La sua evoluzione artistica, comunque lo portò a risultati assolutamente personali, tipici di un innovatore.

Dopo una serie di dipinti giovanili, la prima grande opera della maturità è La Liberazione di San Pietro dal Carcere (chiesa di San Bernardino) dove anticipa i risultati delle tradizioni secentesche lombarda e veneta. Straordinaria è la comunicazione dei sentimenti, intensi ma controllati, tipica l’adesione alla realtà nelle fisionomie dei personaggi. È questa l’opera che gli dà notorietà e gli guadagnò molte commesse dalle chiese cremasche.

Ricordiamo: I santi Pietro d’Alcantara e Bernardino da Feltre e Il Miracolo di Pietro D’Alcantara (chiesa cittadina di San Bernardino) dipinti su un fondo di eccezionale chiarezza, con la luce usata anche a livello psicologico. Infine i sei quadroni eucaristici vertice della sua vicenda pittorica: Il miracolo di Torino, Il miracolo di Valenza, Il miracolo di Pozen, Il Miracolo di Bolsena, Il miracolo dell’ostia trafugata, La comunione della  beata Cadamosto. Autentici capolavori, sono antesignani della corrente lombardo-veneta del primo Settecento.

 MARIO VANNICOLA – OFFIDA 2016

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